La Corte di Giustizia Ue: il CBD non è uno stupefacente e non ha effetti nocivi per la salute umana
Una sentenza della Corte di Giustizia Europea chiarisce la situazione: nessuno Stato membro dell’Ue può vietare la commercializzazione del cannabidiolo (CBD) legalmente prodotto in un altro Stato membro. La Corte puntualizza anche che il diritto Ue prevale su quelli nazionali dei singoli Paesi e che il divieto di commercializzazione del CBD non può essere giustificato da riferimenti alla Pac, non trattandosi di prodotto agricolo.
Ci sono due condizioni da rispettare:
- il CBD deve essere estratto dalla pianta di Cannabis sativa nella sua interezza e non soltanto dalle sue fibre e dai suoi semi;
- il divieto scatta qualora subentrino obiettivi di tutela della salute pubblica tali da giustificarlo (ma nessun divieto deve eccedere al fine del raggiungimento di tali obiettivi).
La sentenza in questione chiude un processo tenutosi in Francia a carico di due imprenditori che avevano commercializzato una sigaretta elettronica a base di CBD importato da un Paese estero, la Repubblica Ceca. Era scattata la condanna a 18 e 15 mesi di reclusione con sospensione condizionale della pena e a 10 mila euro di ammenda. La Francia vieta infatti l’importazione. di derivati dalla canapa diversi da fibra e semi. Il processo è giunto fino alla Corte di Giustizia Ue, dove si è discusso del rapporto tra normativa francese e diritto comunitario.
La Corte afferma anche che, se il CBD non va considerato un prodotto agricolo, vanno applicate invece le disposizioni sulla libera circolazione delle merci all’interno dell’Unione (articoli 34 e 36 TFUE) dato che il CBD “non può essere considerato come uno stupefacente”. D’altro canto, queste disposizioni non si applicano ai soggetti che commercializzano stupefacenti, essendo tale commercializzazione vietata in tutti gli Stati membri tranne che nell’ambito di un commercio rigorosamente controllato a scopi medici e scientifici.
Resta una domanda: su quali basi un giudice nazionale può valutare la sussistenza di un rischio reale per la salute che possa portare ad un divieto di commercializzazione del CBD?
La risposta della Corte è che il giudice deve valutare i dati scientifici a disposizione e utilizzarli per valutare se il rischio non sia basato su considerazioni del tutto ipotetiche. Il rischio deve essere sufficientemente dimostrato altrimenti non potrà sussistere alcun divieto.
Infine, la Corte fa riferimento al diritto Ue nel ribadire quali siano le uniche definizioni di “droga” e “stupefacente” considerabili, vale a dire la convenzione Onu sulle sostanze psicotrope e la convenzione unica sugli stupefacenti. Nella prima il CBD non è menzionato. Dalla seconda si potrebbe evincere che il CBD sia uno stupefacente perché estratto della cannabis, ma “tale interpretazione sarebbe contraria allo spirito generale di tale convenzione e al suo obiettivo di tutelare ‘la salute fisica e psichica dell'umanità’.
La Corte sottolinea che, in base allo stato attuale delle conoscenze scientifiche, di cui è necessario tener conto, a differenza del tetraidrocannabinolo (comunemente noto come THC), anch’esso un cannabinoide ottenuto dalla canapa, il CBD in questione non risulta avere effetti psicotropi né effetti nocivi per la salute umana”.